"VENT'ANNI: in ascolto di chi cresce" a cura di Viviana Bosio


Con l’occasione del suo ventennale, Psiche e Soma edita il suo primo libro: “Vent’anni. In ascolto di chi cresce” a cura di Viviana Bosio.

Un libro corale, deciso a incarnare così tutto lo stile P&S, fondato sull’unico approccio alla persona in cui veramente credo: l’integrazione.

L’integrazione a Psiche e Soma avviene tra professioni diverse, tra orientamenti diversi di una stessa professione, avviene nello sforzo costante di cogliere l’individuo come unità mente corpo (dove non è strano che psicologo, osteopata, medico, personal trainer, naturopata, educatore, logopedista, psicomotricista ecc. siano seduti in cerchio a conversare di uno stesso paziente e del suo contesto). L’integrazione avviene nell’orizzontalità tra colleghi, nell’umiltà dei punti di vista, nella formazione interna a cascata, nella condivisione dei saperi, nel mettere al centro la cura delle relazioni all’interno dell’equipe e molto altro.

Il libro racchiude il contributo che qualcuno di noi si è sentito liberamente di donare e si è costruito così, un pezzetto accanto all’altro. Ne è uscito qualcosa che può essere colto nell’insieme e/o nelle sue singole parti e allo stesso tempo qualcosa che non pretende di cogliere tutto, sapendo che il quadro sarà sempre infinitamente più grande della sua rappresentazione.

CORONAVIRUS: come combattere la paura


L’allarme del Covid-19 (Coronavirus) scattato in queste ultime ore ci fa un bell’assist per dirci qualcosa di veramente utile per affrontare le prossime settimane. Perché, diciamolo subito, come per molte cose e in questi casi più che mai, l’atteggiamento mentale può fare davvero la differenza!


La paura, che da un lato è nostra alleata nel farci assumere un atteggiamento protettivo verso noi stessi in situazioni di minaccia, dall'altro può portare all'effetto contrario.


In questo articolo provo a raccontarvi cosa succede nel nostro corpo e nella nostra mente quando viviamo situazioni che ci gettano in uno stato di allerta.

http://www.amoreepsiche.blog/coronavirus-come-combattere-la-paura/



Cosa vuoi fare "da grande"?


Una domanda enorme, immensa, che è tutto un programma e alla quale magari è sempre stato difficile rispondere.


Proviamo a capire cosa significa oggi per un adolescente trovarsi difronte ad essa.


Insieme, su "Amore e Psiche" il Blog https://www.amoreepsiche.blog/cosa-vuoi-fare-da-grande/

La chiamavano PIGRIZIA


Molto spesso mi dicono che i ragazzi di oggi sono pigri e svogliati...sarà vero? In questo articolo su "Amore e Psiche" il Blog provo a parlarvene andando un po' più in profondità.


Buona lettura e non dimenticate di dirmi la vostra se vi va! https://www.amoreepsiche.blog/la-chiamavano-pigrizia/

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ARTICOLI,

PUBBLICAZIONI

E

EVENTI

AMORE LIQUIDO: "ti amo tantissimo, ma..."


Avete mai sentito parlare di Amore Liquido?


Tranquilli, non si tratta di una pozione magica, ma di una forma di legame amoroso, che sicuramente vi sarà capitato di incontrare per esperienza diretta o magari indiretta nel mondo di cui siamo parte oggi.


Ve ne parlo in questo articolo pubblicato su "Amore e Psiche" il Blog.


http://www.amoreepsiche.blog/amore-liquido-ti-amo-tantissimo-ma/

"Da Odette a Lara Croft": l'ideale di bellezza oggi e i suoi risvolti nei DCA


Presso il "Centro Psiche e Soma" di Pioltello mi occupo di psicoterapia dei Disturbi del Comportamento Alimentare in adolescenza. La micro-equipe DCA di cui faccio parte insieme ad altre colleghe si occupa di questo tipo particolare di sofferenza in modo integrato e multidisciplinare.


In questo articolo provo a raccontarvi come mi pare sia oggi cambiato l'ideale di bellezza femminile nel corso del tempo e così anche sia cambiato l'ideale a cui i DCA si ispirano.


https://www.amoreepsiche.blog/da-odette-a-lara-croft-lideale-di-bellezza-oggi-e-i-suoi-risvolti-nei-dca/

Nessuno è uguale, nessuno è diverso


Quest'anno, alla Scuola dell'Infanzia Stefano Lattuada di Gessate, mi è stato chiesto di intervenire sul tema della "diversità". Vi propongo di seguito il mio articolo uscito su "Amore e Psiche" il Blog, che raccoglie la mia idea in merito.


Ricordatevi che sono sempre curiosa di sapere la vostra!!


https://www.amoreepsiche.blog/nessuno-e-uguale-nessuno-e-diverso/

INSEGNAMI A VOLARE


Un articolo dolce, per ricordarmi e ricordarci la bellezza della semplicità.Porta sempre la mia firma e questa volta anche un pezzettino della mia vita privata: mio figlio. https://www.amoreepsiche.blog/insegnami-a-volare/


ADOLESCENTI ON-LINE


Scopriamo quali sono gli atteggiamenti utili e sensati per sostenere i ragazzi nel mondo dell'iperconnessione. Ne parliamo insieme in questo mio articolo su "Amore e Psiche" il Blog https://www.amoreepsiche.blog/adolescenti-on-line-parte-prima/.

Continua poi la lettura con la seconda parte dell'articolo! https://www.amoreepsiche.blog/adolescenti-on-line-seconda-parte/


Dallo psicologo? Sì, ma...



Nonostante la cultura psicologica sia sempre più in espansione rispetto al passato, esistono ancora molte false credenze e idee pregiudizievoli attorno alla figura dello psicologo e attorno a chi a lui si rivolge.

Questo purtroppo rende l’aiuto psicologico ancora non così facilmente accessibile e non mi riferisco ai limiti esterni (come le liste d’attesa delle istituzioni pubbliche o le tariffe del privato) bensì ai limiti interni che ciascuno di noi, spesso inconsapevolmente, si pone.

Quante volte ascoltando o anche solo osservando le difficoltà di un amico, abbiamo pensato che avrebbe fatto bene a rivolgersi a uno psicologo e magari ci è parsa insensata la sua scelta di farne a meno? Quante volte però poi, quando a essere in difficoltà siamo stati noi stessi, abbiamo trovato mille giustificazioni diverse per evitare di fare lo stesso passo, che tanto ci pareva semplice e immediato? Quante volte gli psicologi stessi, quando tocca a loro o a qualche famigliare, si tirano indietro e nascondono la testa sotto la sabbia?

Non si tratta di ipocrisia, ma dell’espressione di quanto ancora oggi siamo profondamente intrisi di quel dualismo mente-corpo, che tanto vorremmo superare (e ci raccontiamo di aver superato), ma che invece ci sfugge sempre sul più bello.

Occuparci del dolore della nostra mente, della nostra anima, non ci viene così naturale come correre dal medico al minimo dolore del nostro corpo; è una, non senza eccezioni, amara verità. Le ragioni sono sicuramente tante e vorrei provare a individuarne qualcuna.

Innanzitutto non c’è niente da fare, il progresso ci ha abituato e ci sta sempre più abituando a poter disporre di qualunque cosa in tempi rapidissimi e dovunque ci troviamo. Non sono una grande amante della filosofia “si stava meglio quando si stava peggio” e perciò preciso che le nuove opportunità di cui oggi disponiamo sono un bene estremamente utile e da valorizzare, ma da sfruttare senza dimenticare di farlo con senso e coscienza.

Personalmente credo che uno dei risvolti più preoccupanti sia la progressiva sempre minor capacità di darsi tempo, perché purtroppo o per fortuna, alcune cose (molte, per la verità) non possono essere subito comprese, risolte, realizzate. Dare voce alla sofferenza psicologica richiede tempo e voglia di esplorare in prima persona i meandri dei nostri turbamenti, perché non esistono radiografie, TAC o chissà quali strumenti di precisione che possano “guardarci dentro” al posto nostro.

Vogliamo tutto e lo vogliamo subito e preferiamo l’oggettivo, il quantificabile, il direttamente osservabile ed è per questo che possiamo stare per anni a lottare con gli attacchi di panico, ma non più di due giorni con una carie ai denti.

Estremizzo lo so, ma il fatto è che quando i mali riguardano il corpo, anche i mali più lievi, siamo di gran lunga più solerti e ricettivi, vogliamo sbarazzarcene per tornare a vivere il più in fretta possibile; è come se il nostro pensiero, in un certo senso, andasse subito alla paura della stasi, della fine, della morte eppure non abbiamo idea di quanto il disagio psicologico possa bloccare la nostra vita in prigioni auto-costruite giorno dopo giorno, giocandoci il beffardo scherzo di portarci a credere che in realtà stiamo andando avanti. Vere e proprie agonie dell’anima, costrette a cedere sempre il passo a qualcosa di contingente, ritenuto più importante.

Anche qui, l’inganno va avanti, perché per la maggior parte siamo ancora portati a credere che quello che ci accade nel corpo sia del tutto separato e disgiunto da quello che accade nella mente o per lo meno agiamo come se lo fosse; ecco perché possiamo farne allora una questione di priorità. Invece, penso che ognuno possa rintracciare nella propria storia un qualsiasi semplice esempio di questa connessione, dai disordini intestinali in vista di un evento preoccupante, alle variazioni di appetito in seguito alle pene d’amore.

Ci sono però anche persone che riescono a non restare vittime di questi limiti e a farlo altresì con una certa naturalezza. Per la verità sono più di quel che crediamo. Tuttavia, anche quando questo accade, c’è un ultimo ostacolo su cui vorrei soffermarmi, forse il più grande e che purtroppo frequentemente spinge a ritornare sui propri passi: la paura del cambiamento.

Quello che inconsciamente vorremmo è che lo psicologo ci aiuti a eliminare il problema, lasciando intatto tutto il resto. Purtroppo (e per fortuna direi!) questo non è possibile.

L’essere umano è un sistema complesso e procede processualmente lungo la propria vita, modificandosi e essendo modificato continuamente in relazione a ogni sollecitazione che incontra.

Questo però è il bello: la rigidità è patologia, è morte, il cambiamento invece è vita e non può che portarci in avanti.



"Quando soffiano venti di cambiamento, qualcuno costruisce muri, altri costruiscono mulini a vento" (proverbio cinese)

Come dei contadini...


Ai ragazzi (e non solo) oggi voglio dire: abbiamo molto da imparare dai contadini.

Venite a scoprire cosa intendo! https://www.amoreepsiche.blog/come-dei-contadini/


Per voi, su "Amore e Psiche" il Blog.



Di disturbi dell’alimentazione si parla soprattutto in pre-adolescenza, adolescenza e giovane età adulta, come mai? Una prima risposta può avere a che fare con il fatto che l’adolescenza è il periodo, oggi tra l’altro sempre più dilatato, nel quale ognuno di noi è chiamato ad affrontare molti grandi cambiamenti e questo espone senza dubbio a una maggiore vulnerabilità. L’adolescente è chiamato ad affrontarli e superarli per poter giungere poi alla costruzione di una propria identità, unica ed irripetibile e separata sia da chi di lui si è occupato nell’infanzia, che in generale dagli altri che lo circondano.


Una seconda risposta possibile riguarda la centralità del corpo tanto in adolescenza, quanto nei disturbi alimentari, come fosse un minimo comun denominatore. Il corpo infatti, con la sua maturazione puberale, impone all’adolescente una nuova immagine corporea con la quale fare i conti e molto diversa da quella del bambino che è stato.


Per questo il corpo può divenire facilmente protagonista e teatro del disagio adolescenziale; decidere quanto e se mangiare, poter intervenire sul proprio aspetto esteriore, costituiscono un modo, per quanto disfunzionale, di prendere contatto con sé stessi e dire al mondo “io ci sono, questo sono io!”. Non è solo il caso dei disturbi alimentari, ma anche di altre condotte come ad esempio l’autolesionismo o l’aggressività diretta all’altro.


Nonostante la popolazione femminile continui ad essere la maggiore interessata dai fenomeni di anoressia e bulimia e queste continuino ad essere le forme maggiormente conosciute, lo scenario oggi è molto più ampio.


Se infatti l’ideale collettivo di bellezza nella donna è legato alla magrezza, al corpo maschile è richiesta forza, prestanza e potenza. Il disagio alimentare maschile spesso assume la forma di un’attenzione smodata e invalidante per il corpo muscoloso, la cui deriva è quella di un corpo ipertrofico, che in campo diagnostico prende il nome di “anoressia inversa” o “vigoressia”. Questa attenzione diventa così totalizzante da portare a isolamento sociale, all’assunzione di sostanze dannose per il fisico, nonché a cattiva nutrizione.


Rispetto alla bulimia e all’anoressia nervosa, ben conosciute ormai e di più facile identificazione, individuare l’anoressia inversa è un compito assai più complesso: è difficile distinguerla da un sano interesse per l’attività sportiva o per delle buone abitudini alimentari. Questo rende complicato anche l’emergere di una vera e propria domanda di aiuto.


Infine, spesso lasciato un po’ troppo da parte nel mondo della psicologia, è poi l’importante fenomeno dell’obesità; l’obesità è forse l’unico nell’ambito dei disturbi del comportamento alimentare a costituirsi chiaramente come una dipendenza, eppure il suo forte riverbero sul piano fisiologico lo confina spesso nell’ambito di competenza della sola medicina. Accanto alle forme biologiche e genetiche di obesità però, esiste quella che viene definita obesità psicogena, che ha invece origine nella sofferenza psicologica. L’obesità è un nascondiglio per il sé, che diventa pian piano una prigione: il grasso corporeo protegge l’individuo dall’altro, dal senso di vuoto e di disvalore, ma allo stesso tempo non permette veramente l’incontro e il contatto con il mondo. Il cibo diventa la consolazione, un “mettere dentro” che ha il sapore del riempire uno spazio, piuttosto che accrescere l’esperienza. La domanda di amore qui resta soffocata, irraggiungibile per la persona stessa, bloccata dal disvalore in una spirale autodistruttiva.


Sono battaglie difficili quelle con il cibo, non meno di molte altre forme di dipendenza, anzi. La drammaticità che le accompagna, proprio perché a lungo andare costringono a misurarsi anche con il fantasma della morte possibile, porta paradossalmente a sottovalutarle, a fare finta di niente, a prenderne distanza oppure a correre ai ripari tra pareri medici e nutrizionali, dimenticandosi però di ascoltare anche la sofferenza psicologica che le accompagna.


La possibilità di una guarigione passa dall’ascolto combinato della voce del corpo e di quella della mente, alla ricerca del perché la sofferenza abbia scelto proprio il canale del cibo per esprimersi.






“ Noi genitori siamo come mamma uccello…appena vediamo il rosso del becco aperto e affamato dei nostri piccoli, ci preoccupiamo di imboccarli di cibo…lo sforzo che ci è richiesto invece è quello di fermarsi…non è indifferenza, ma la giusta distanza che ci permette di interrogarci” (Cit. un papà)

ADOLESCENTI OGGI: quale idea di futuro?


Osservare l’adolescenza oggi significa osservare un dato ormai chiarissimo anche all’occhio più distratto


è un periodo della vita dell’uomo che occupa uno spazio sempre più dilatato nel tempo. Perciò, se da un lato per alcuni il parlare di adolescenza sembra più che altro sempre più “una moda”, dall’altro non si può certo sostenere che non abbia senso farlo.


L’adolescente inizia ad essere tale sempre prima (e questo è spesso ben visibile soprattutto nel mondo femminile), ma continua anche ad esserlo fino all’epoca dell’università, forse oltre. Gli “eterni mammoni” o altro che dir si voglia; il linguaggio del senso comune si arricchisce dei termini più disparati per definire questo fenomeno.

Di fronte a un futuro che sembra essere continuamente rimandato e rimandabile, viene spontaneo chiedersi allora, quale idea di futuro abita oggi la mente dell’adolescente?


I genitori spesso lamentano nei figli l’assenza di una progettualità, la mancanza di desiderio verso il raggiungimento di obiettivi propri, la passività, il ritiro, l’intorpidimento. La causa di tutto questo viene, a mio avviso, semplicisticamente attribuita alla perdita dei valori di un tempo, al fatto che il mondo offre loro troppo, cadendo in una logica retrograda di sguardo nostalgico al passato, che poco aiuta a comprendere e confrontarsi con il presente.


Al convegno AGIPPsA 2014, associazione che raccoglie tutti i gruppi italiani che si occupano di psicoterapia psicoanalitica con l’adolescente, intitolato proprio “Adolescenti e Futuro. Culture, relazioni e disagi”, Gustavo Pietropolli Charmet, riferendosi alla clinica, sostiene che con l’adolescenza ci si debba porre nella prospettiva di curare il futuro. Forse può essere una valida indicazione non sono per gli “addetti ai lavori”.


Ha senso interrogarsi su quale sia l’idea di futuro dei giovani, perché questo può aiutare l’adulto a comprendere la specificità delle fatiche che oggi incontrano e a capire dunque come entrarvi in relazione, come essere loro d’aiuto. Molte delle problematicità che in adolescenza più facilmente possono manifestarsi, dai comportamenti a rischio fino all’isolamento, possono essere lette proprio come espressione di una difficoltà a pensare il futuro e a proiettarvi un’immagine di sé positiva e desiderabile.


Nella mia esperienza di incontro con i ragazzi appare evidente una certa rassegnazione: non è che gli adolescenti sognino di meno, anzi, molti di loro hanno chiare aspirazioni di chi vorrebbero essere e di cosa vorrebbero diventare “da grandi”, alcune anche davvero creative, ma sono profondamente sfiduciati rispetto alla strada da percorrere; non per la fatica, ma per il fatto che questa assicuri sempre meno il raggiungimento della meta.


Come dar loro torto? In “La fatica di diventare grandi”, piccola e recente lettura che consiglio per sua immediatezza anche ai genitori, ho trovato alcune semplici parole dell’autore così realisticamente sconvolgenti: “il lutto per la morte del futuro costituisce l’esperienza affettiva più dolorosa da elaborare, tanto per gli adolescenti quanto per i giovani adulti.” (Aime, Charmet; 2014). Ci troviamo di fronte alla “morte del futuro”. Senza scomodare letture filosofiche o antropologiche, è sufficiente osservare nel quotidiano come ad esempio la crisi economica abbia gettato l’adulto per primo in uno stato di profondo sconforto, lo stesso che senza dubbio, attraverso le varie agenzie educative (la famiglia, la scuola per prime) e di comunicazione, i ragazzi respirano. Sarebbe davvero incauto pensare che questo possa non avere una sua incidenza, soltanto perché “sono giovani”.


Pensioni immaginate e pianificate per una vita, procrastinate a date incerte; la disoccupazione di padri e madri di famiglia; il precariato…Lo scenario paradossale è quello di un mondo in cui agli adulti non solo non è concesso di accedere alla loro vecchiaia, ma sono anche costretti a misurarsi con dilemmi diversamente tipici della giovane età. Un mondo incastrato sul presente, che non sembra poter andare né avanti né indietro e dove quindi non sembra proprio esserci spazio per chi è sulla soglia. L’adolescente è costituzionalmente orientato al futuro, lo era ieri, lo è oggi e lo sarà domani, ma quello che ha davanti a sé è uno spazio saturato da un popolo adulto a cui è “richiesto” su più fronti di essere sempre giovane, bello, competente, prestante. Di fatto, immortale.


Agli adolescenti dunque non resta altro che concentrarsi sul presente, che viene oltretutto reso sempre più attraente stratificandosi e complessificandosi: pensiamo all’uso del digitale, del virtuale, che permette di vivere innumerevoli esperienze simultanee, in un solo momento.


“Curare il futuro” può dunque forse tradursi nell’impegno a leggere la crisi, (in senso ampio, non solo quella economica) come opportunità, aiutando i ragazzi ad interrogarsi e cercare insieme uno spiraglio di futuro possibile.



Disturbi del comportamento alimentare: andare oltre l'apparenza.


Quando parliamo di “dipendenza” solitamente pensiamo a qualcosa di cui non si riesce a fare a meno; pensiamo all’abbondanza, all’uso e all’abuso di qualcosa di nocivo, che in sé “ fa male”.

Più difficile è pensare che di dipendenza si possa parlare anche di fronte al rifiuto di qualcosa che nasce invece per “fare bene”: è questo il grande parodosso quando la sofferenza sceglie la strada del cibo per esprimersi.

Questa, che sembra essere una vera e propria contraddizione in termini, ci impedisce di capire fino in fondo il disagio alimentare, perché porta a rimanere imbrigliati in una dimensione illogica, di non-senso, il cui principale effetto è quello di farci fermare in superficie. Eppure anche il disagio alimentare ha un suo senso, un proprio significato, sempre.

Non è facile scegliere di andare oltre, ma è importante evitare di ridurre tutto solamente a un corpo che si ammala, ai chili, alle calorie e alle diete. Le grandi implicazioni mediche certo non possono e non devono essere ignorate, ma per essere veramente d’aiuto è necessario essere disposti anche a guardare un po’ più in là. Quel corpo è una persona, che soffre e che non sa come altro fare.

Una metafora semplice, che proprio per questo ritengo molto fortunata, suggerisce d’immaginare i disturbi alimentari come “disturbi dell’amore” ovvero segnali di un disagio affettivo. Del resto, il legame tra cibo e amore è qualcosa che culturalmente ci appartiene; pensiamo agli scambi tra madre e figlio durante l’allattamento, a quante volte scegliamo una buona cena per coltivare i nostri affetti o banalmente alla gioia che proviamo nel godere del nostro cibo preferito.

Rifiutare il cibo, trangugiarlo, rimetterlo, sono domande d’amore che restano inascoltate. A volte è la rivendicazione di un amore avvertito come mancante, altre volte è il bisogno di evadere da un amore così presente che diviene soffocante.

I disturbi del comportamento alimentari sono una delle forme di sofferenza psicologica più diffuse. Basti pensare alle modifiche apportate recentemente a uno dei manuali psicodiagnostici di maggior utilizzo, il DSM - Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali, che nel 2013 ha raggiunto la sua quinta edizione. Tali modifiche hanno determinato l’inserimento di nuove tipologie di disagio alimentare tra cui anoressia inversa, ortoressia, anoressia nervosa atipica, night eating syndrome e altre, che testimoniano come queste forme di disagio siano non solo sempre più presenti, ma anche via via più diversificate.